danzare la vita al ritmo della parola di Dio

Prof.ssa Giuliva Di Berardino


Le cose che non sono nell’ordine sono senza quiete;
ordinate acquistano la pace.
Il mio peso è l’amore; da lui sono portato ovunque mi porto.  
Dal Tuo dono siamo infiammati e portati verso l’alto;
ci infiammiamo e così ci muoviamo. 
Saliamo la salita del cuore cantando..
Dal tuo fuoco, dal tuo buon fuoco siamo infiammati e mossi:
saliamo verso la pace di Gerusalemme”. 
(Le confessioni, Libro XIII)


Il primo compito che abbiamo nei confronti del nostro corpo, ancor prima di renderlo presentabile, è quello di ascoltarlo, di capire cosa lo muove. Questo ascolto è un dovere verso se stessi e verso la verità, perché il limite del corpo mi apre al desiderio e mi mette di fronte alla verità: posso ricevere la gioia solo da un altro. Allora capisco che ogni uomo possiede dentro di sé la capacità di gioire della gratuità dell’altro perché ha dentro di sé una natura più profonda, immateriale.





In questo senso la Bibbia interpreta il termine nefesh, tradotto come «anima», ma che significa anche «gola», cioè luogo del desiderio. Il limite della gola, di questo luogo fragile ed esposto del corpo umano, questo luogo di passaggio dalla testa al corpo che collega l’alto col basso di me stesso, in questo «canale del limite», è posto il mio desiderio di vita piena, ciò che mi fa vivere, che mi fa muovere, che mi fa respirare. Eppure questo desiderio spinge l’uomo a migliorarsi e figurativamente in italiano diciamo che esso conduce l’uomo «verso l’alto».
Il desiderio dell’uomo è  Dio, radicato nell’animo umano, come ben afferma il Sal 42:
Come una cerva anela ai corsi d’acqua,
così l’anima mia (nafshi da nefesh) anela a Te mio Dio.

S. Paolo afferma che il corpo è tempio dello Spirito Santo (1Cor 6,19), cioè la dimora in cui abita Dio stesso. Come il tempio possiede una zona interna in cui dimora Dio, il Santo dei Santi, così l’uomo ha un luogo interiore invisibile ai suoi occhi fisici, ma reale: lì abita Dio. Ora, se il corpo si muove, anche Dio si muove nel corpo.
Nel mondo biblico, di cui Paolo è erede in quanto ebreo, infatti, non esiste un Dio statico, ma un Dio vivo, un Dio che è ruah cioè soffio, vento, un Dio la cui natura è movimento e che mette tutto in movimento. Gesù stesso parla del suo corpo con l’immagine del tempio (Gv 2,19).
Alla luce del messaggio di Gesù nel Nuovo Testamento il corpo diventa quindi simultaneamente il luogo del culto come anche il dono da offrire nel culto, come bene recitano le parole di Rm 12,1:

Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio,
a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio;
è questo il vostro culto spirituale.


È a questo livello che si può parlare di «danza biblica liturgica» o «danza della Parola di Dio». Essa si inserisce in questo movimento di vita che diventa linguaggio di preghiera, e che può diventare liturgia.

La Bibbia e la Tradizione ebraica (Mishnà e Talmud) riportano numerosi riferimenti espliciti a danze accompagnate da strumenti musicali, perfino i contesti per danzatori sono ben indicati. Nel mondo biblico si danza per festeggiare una vittoria ottenuta con l’intervento divino (Gdt 15,12-13); per il ritorno di una persona cara (Gdc 11,34), e in occasione di nascite e matrimoni: la danza è un linguaggio di vita.
La Scrittura utilizza ben undici radici verbali per descrivere l'azione del danzare.
Fra le più frequenti troviamo chol, girare, volteggiare, da cui deriva il sostantivo machol, danza, che indica le danze femminili come quella della Sulammita nel Cantico dei Cantici (Ct 7,1) o quella della figlia di Iefte nel Libro dei Giudici (Gdc 11,34).  Anche il termine ebraico che designa la festa, hag, comprende il significato di cerchio e quindi di danza, sicuramente fatta anche in un luogo sacro perché secondo il comandamento le feste vanno santificate.

Certo è che nel mondo biblico esistevano anche danze destinate alla liturgia del tempio e quindi specifiche del culto, la cui origine è nelle danze orientali tipiche del mondo religioso che circondava Israele antico. La danza liturgica ebraica però, si distinse da queste ultime, svuotandosi della loro dimensione idolatrica, perché il suo intento fu quello di rivolgersi unicamente a YHWH.
La danza di Myriam, sorella di Mosè, che danza nel libro dell’Esodo, dopo il passaggio dal Mar Rosso (Es 15,20-21), si presenta come «celebrazione del memoriale», diventando il paradigma della danza liturgica. Un’altra danza dello stesso modello che ne testimonia la continuità cultuale, è testimoniata nel primo Libro di Samuele (1Sam 18,6-7). In alcuni Salmi inoltre è possibile individuare elementi che rimandano all’espressione di lode attraverso un particolare linguaggio con dinamiche riconducibili alla danza, intesa come gesto liturgico. Un primo elemento è il primo versetto di ogni Salmo, che solitamente costituisce il «titolo» e ci attesta l’attribuzione, il genere musicale e l’uso liturgico. La notazione più interessante è quella detta in ebraico selah, termine presente settantuno volte in trentanove salmi (cf Sal 3,3.5.9; 32,4.5.7; 46,4.8.12; 68,8.20.33; 75,4; 76,4.10; 77,4.10.16; 89,5.38.46.49, ma tali pause non sono indicate nella traduzione della Conferenza Episcopale Italiana). Probabilmente indicava una pausa, o una melodia di accompagnamento quando si interrompeva il canto. Possiamo supporre che nella liturgia del tempio non bastava adattare la musica al cantico proposto, ma bisognava anche accompagnare i gruppi danzanti e per questo veniva indicata la pausa del canto. Nel testo ebraico,inoltre, i Salmi 88,1 e 53,1 riportano una curiosa annotazione: `al-machalat le`anot , che può essere tradotto così «su canto o accompagnamento per risposta».  Secondo qualche studioso si potrebbe supporre che la risposta sia danzata da un gruppo che risponde al solista.                                                                                      

Certamente si tratta di ipotesi, ma questo modo “danzante” di pregare il salterio è in perfetto accordo con la sensibilità religiosa biblica in quanto, attraverso la danza, tutto l’essere umano, inteso come unità di corpo e spirito, può esprimere la lode a Dio.

I Cristiani, come gli Ebrei, hanno sempre danzato per manifestare la preghiera di lode e per rendere culto a Dio. Tuttavia, lungo la storia della Chiesa, non è mai esistita una vera e propria codificazione  della danza, come  si è verificato per esempio per il canto. Attualmente siamo certi del fatto che la danza fosse praticata in ambiente cristiano. Dal punto di vista delle documentazioni ufficiali, esistono,infatti,non solo dei documenti di divieto, proposti in situazioni ben circoscritte per il rischio che i costumi pagani entrassero nel contesto liturgico, ma soprattutto alcuni riferimenti patristici. I Padri della Chiesa rivelano non solo l’esistenza, ma addirittura diversi apprezzamenti di questa pratica liturgica.Ne riportiamo solo alcuni:

Gregorio di Nissa, In Laudem 40 martyrum, Sermo 2, PG 46,760
 “Vide il fiore dei corpi che si adornarono di continenza e sobrietà,
vide una corale che li spingeva come un esercito di danzanti alla volta di Dio”

Atanasio  morto nel 373, Sulla verginità, 24-25, PG 28,281
“Ho scritto queste cose, sorella carissima, a te, che fai la danzatrice di Cristo,
per essere di consolazione e conforto dell’anima tua”

Nella storia più recente troviamo una testimonianza di Sant’Alfonso Maria De’ Liguori  (1696-1787), dottore e moralista della Chiesa:

ALFONSO MARIA DE’ LIGU0RI, Theologia morali, Romae, Ed. Vaticana
“Le danze non sono di per sé da condannarsi, perché sono un segno di gioia.
Quando i Padri le condannano, non intendono che quelle oscene ed i loro abusi”  
Oggi la pratica della danza a carattere spirituale e liturgico si sta diffondendo in molte comunità cristiane occidentali, anche per l’esigenza di una Nuova Evangelizzazione sorta nella Chiesa Cattolica: ponendosi in atteggiamento di ascolto e di confronto con le culture extraeuropee e studiando le radici religiose proprie alla nostra fede giudeo-cristiana, si comprende sempre meglio in che senso la danza può essere anche “liturgica” e quindi intesa come espressione corale della lode di un popolo.
Le danze religiose che appartengono alla tradizione del popolo d’Israele, sono propriamente liturgiche, perché non solo danzano la Parola di Dio, ma fanno anche disporre in cerchio i danzatori, per cui non c’è protagonismo. Ognuno si percepisce  membro di un unico corpo che danza: insieme si muovono i piedi e si va avanti, al ritmo della Parola cantata o recitata, che sempre precede i passi della vita; insieme, stringendo le mani, non si resta chiusi nell’intreccio, ma si scopre e si custodisce, nella sua inviolabile alterità, il mistero della persona che sta accanto. Si danza insieme la Parola di Dio e ci si avverte felici, non perché si è ammirati da qualcuno, ma perché Dio Padre, nell’ammirare il desiderio di vita piena che abita nel suo popolo, si rallegra ed effonde la Sua gioia. E la danza immerge nella gioia della benedizione, nella pienezza della relazione filiale, così che dico con tutto me stesso il mio aiuto viene dal Signore, quando alzo gli occhi e chiedo aiuto (cf. Sal 121), perché il Signore ha fatto cielo e terra, tutto il cosmo, tutto il creato è una benedizione di Dio.
Insieme si entra nella beatitudine, nella gioia di colui che sceglie la via della vita, che cammina nella legge del Signore e cammina a passi di danza! Gioiosi passi, che portano pace, che annunciano salvezza, che generano la vita, purché danzi la fede, la Parola, lo Spirito. Si tratta infatti di un percorso spirituale: Ogni passo ha un senso, ogni passo fa avanzare nel cammino e rende l’uomo artefice della sua preghiera, presente alla supplica, ministro della lode. Quando non si danza con questo atteggiamento, non si prega e ci si chiude alla vita. Del resto lo stesso Gesù ha consegnato ai suoi discepoli una brevissima parabola riportata in un brano del Vangelo di Matteo in cui rimprovera chi non accoglie la gioia del Regno di Dio:
 Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato …(Mt 11,16-17).
La preghiera danzata della Parola di Dio, può lenire quelle piccole o grandi ferite che ognuno di noi si porta nel cuore, come un balsamo profumato che scende e porta pace, unificando le possibilità del corpo nell’azione profondamente sentita dall’anima della persona, purché essa accetti di danzare la vita al ritmo della Parola di Dio.

Come danzare la vita al ritmo della Parola che salva?
Bisogna accettare umilmente che la Parola di Dio possa dare forma e vita al corpo per diffondersi nel mondo anche attraverso un semplice gesto; lasciare ciò che rischia di essere «spettacolo», per intraprendere  un cammino spirituale dove trasfigurare se stessi e rendere visibili, attraverso la propria persona, la gioia e la pace che solo il Signore può farci sperimentare insieme.

Accogliere tutto questo comporta la purificazione del gesto (per chi danza) e dello sguardo (per chi osserva). Danzare la preghiera serve proprio a guarire in questi ambiti: il modo di porsi rispetto all’altro e il modo di sentirsi guardati dall’altro.
Per ottenere questo non è necessaria la tecnica, ma la fede nella Parola di Dio, in quell’annuncio che ogni credente è chiamato a proclamare: Cristo Gesù ha amato l’umanità da donare se stesso perché chiunque creda in Lui non muoia, ma abbia la vita vera, la gioia senza fine.
È un cammino che si apre davanti a noi: dall'io che ascolto, al tu che cerco, al noi che formiamo un corpo vivo, fino ad arrivare al Signore che dona la vita.
In questo cammino la vita stessa danza, perché spalanca l’accesso allo Spirito Santo. Solo lo Spirito Santo guarisce e libera, Lui solo può renderci un popolo pieno di fede, un popolo che celebra le lodi di Dio con danze, che con timpani e cetre canta inni.
Solo lo Spirito di Dio può fare di tutti noi un solo popolo di viventi.
Allora, nella grazia dello Spirito Santo, comunione d’amore e armonia di pace, si può cominciare a danzare per celebrare il Signore!


Bibliografia

E. BARTOLINI, Come sono belli i passi… la danza nella tradizione ebraica..., Ancora, 2000.

G. Bentivegna,I carismi del canto e della danza. Fondamenti biblici, linee catechetiche,
 testimonianze partistiche, Ed.RnS, 2005.

J. Dubuc, Il linguaggio del corpo nella liturgia, Paoline, 1989.


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